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Nel 1840 il tentativo di ribellione della Repubblica del Rio Grande do Sul, viene
represso dalle forze imperiali brasiliane e Garibaldi, insieme alla moglie Anita ed al
piccolo Menotti, giunge a Montevideo capitale della vicina Repubblica dell'Uruguay,
conosciuta anche come "Banda Oriental". Il Governo di Montevideo offre a
Garibaldi il grado di colonnello e il comando della sua flottiglia composta da due
navi di modeste dimensioni. All’epoca la situazione era complessa, sul Rìo de la Plata
esistevano due schieramenti opposti: da una parte c’era il tiranno Rosas, Governatore
della Provincia di Buenos Aires e capo del Partito Federale, alleato con il presidente
uruguaiano Oribe e capo della fazione "bianca"; dall’altra parte vi era il Partito
Unitario, con a capo il generale Rivera, della fazione "colorada". Montevideo
rappresentava la roccaforte dei "colorados", contro le mire espansionistiche del
dittatore Rosas, che sperava di unire l'Uruguay alla Federazione Argentina. Questa
guerra durerà dieci anni, mentre la Francia e l’Inghilterra stavano alla finestra a
protezione dei loro interessi commerciali nel sudamerica. Montevideo contava
tantissimi stranieri fra italiani, francesi ed altri esuli, ma il generale Urquiza,
governatore della Provincia di Entre Ríos ed alleato di Rosas, si stava organizzando
per attaccare la República Oriental dell’Uruguay, per mettere fine al suo tentativo di
autonomia. Il dittatore Rosas era appoggiato dalla maggior parte delle province
argentine, ad eccezione di Corrientes confinante con il Paraguay ed il Brasile, e a
Garibaldi venne affidata la missione di risalire il fiume Paraná per 1200 chilometri e
tentare di far sollevare le popolazioni della provincia di Corrientes e indurle a
federarsi in uno Stato Cisplatino. Il 22 giugno del 1842, Garibaldi inizia la disperata
spedizione con la corvetta "Constitución" di 18 cannoni, il brigantino "Pereyra"
armato di due cannoni girevoli, e una nave appoggio detta "Procida". Ad inseguirlo il
governo argentino invia l’ammiraglio irlandese Brown, al comando di quattro vascelli
di linea ed altre imbarcazioni fluviali. Il viaggio dura cinquanta giorni per circa 700
chilometri, risalendo il fiume Paraná, Garibaldi passa di fronte alle località di Bardero
e Rosario, forzando diversi sbarramenti creati per fermarlo, ma il 14 agosto giunge al
passaggio "Costa Brava" dove il pescaggio impedisce di proseguire, pertanto non gli
resta altro che fermarsi e porsi a difesa. L’ammiraglio Brown con le sue navi risale
anche lui il fiume ed una volta trovato il nemico, lo bombarda con un lunghissimo
cannoneggiamento, che il giorno dopo costringe Garibaldi, una volta esaurite le
munizioni, a far saltare le sue imbarcazioni e a sganciarsi dal nemico via terra con
soli 161 uomini e dopo aver subito la perdita di 139 uomini, tra morti e feriti.
Garibaldi rimane fino a novembre nella provincia argentina di Corrientes, che però
non passa dalla parte dei “colorados”, poi cerca di tornare a Montevideo per aiutare il
generale "colorado" Rivera, che stava disponendosi alla battaglia campale contro i
generali federalisti Oribe e Urquiza. Alla metà di dicembre del 1842, il "caudillo"
Oribe sui campi di "Arroyo Grande", nella provincia di Entre Ríos, sconfigge
l'esercito di Rivera senza fare prigionieri. I federali argentini, forti di 12.000 uomini,
di artiglieria pesante e coadiuvati dalla flotta dell’ammiraglio Brown, stanno per
cingere di assedio Montevideo, ma non possiedono il beneplacito inglese, che vuole
evitare che le due sponde del Plata siano sotto lo stesso dominio. Nel marzo 1843
Garibaldi è nominato Comandante in Capo della Marina. Il 16 febbraio del 1843 il
generale Oribe giunge nei pressi di Montevideo, con il suo esercito al completo, ed
inizia il blocco della città, che durerà con alterne vicende 10 anni. Il Governo della
Difesa della città nomina l'argentino generale Paz di parte "unitaria", Comandante
della Piazza. In poco tempo si forma un nuovo esercito, composto da gente comune,
che riesce a difendere la città con tutta una serie di sortite ben riuscite. Il 10 marzo
1843, il generale Paz inizia una serie di operazioni nel tentativo di allargare l’area di
influenza delle sue forze, cercando di allontanare i federali dalla costa della grande
baia di Montevideo. Garibaldi partecipa ad uno sbarco su un’isola al centro della
baia, chiave di volta dell’intera zona, e l’ammiraglio Brown è costretto a ritirarsi,
perché il Commodoro Purvis con la squadra inglese, ancorata nella Baia, mette
l'isolotto sotto la protezione britannica. Venuto a mancare l’appoggio della flotta, il
generale Oribe non effettua l’attacco alla città. Inizia quindi una sorta di assedio che
durerà anni, durante il quale sia la Legione Italiana e la Legione Francese si faranno
onore.
La Legione Italiana nasce quando i “colorados” non hanno più un esercito in grado di
difendere Montevideo, ormai pronta ad essere invasa dalle forze rosiste. Sono le
comunità straniere argentine, francesi, spagnole ed italiane a formare le prime milizie
in difesa della città. Nel 1843 si organizza la "Legione Italiana" al comando di
Garibaldi e con Francesco Anzani come aiutante in uno dei momenti più critici della
guerra: “è stata la prima unità militare italiana dell'era moderna, comandata da
italiani, composta da cittadini di ogni regione”. Alcuni dei suoi componenti
continuarono poi la loro azione militare, partecipando alle Guerre per l'indipendenza.
Il diario militare della Legione è colmo di combattimenti, scaramucce, di momenti
esaltanti e di contrasti e diserzioni. Il battaglione italiano, nel momento della sua
costituzione, era privo di rifornimenti, calzature e divise, ma gli italiani si battevano
lo stesso, si aiutavano come fratelli di una stessa patria, che in realtà ancora non
esisteva.
Il 25 agosto 1844, Garibaldi mette a segno un colpo di mano sul porto del Buceo,
luogo di rifornimento delle forze di Oribe, riuscendo a catturare generi alimentari
essenziali per Montevideo. Nel 1844 la guerra passa attraverso le maglie della
diplomazia; Francia ed Inghilterra intervengono direttamente nel conflitto, ma le
trattative vanno per le lunghe. Nel marzo del 1845, un intero carico di stoffa rossa
destinato ai macellai di Buenos Aires è confiscato dal Comitato degli Unitari e ceduto
alla Legione Italiana, nasce così la "Camicia Rossa" garibaldina; saranno quei 500
legionari, i primi ad indossarla.
Nello stesso periodo, il generale Rivera viene battuto da Urquiza nella località di
India Muerta, ed è costretto a riparare in Brasile, ancora una volta tutti i prigionieri
sono passati a fil di spada. La situazione sembra compromessa, ma Francia ed
Inghilterra il 2 agosto 1845 sbarcano a Montevideo con 6.000 fanti di marina inglesi
ed intimano a Brown di consegnare le navi della flotta federale argentina agli ufficiali
del Comando franco-inglese. Le truppe argentine assedianti Montevideo, per essere
rifornite, sono ora costrette a contare esclusivamente sulle loro province adiacenti al
corso del fiume Uruguay. Per tale motivo Garibaldi viene incaricato di risalire il
fiume Uruguay, nel tentativo di spezzare le linee di rifornimento nemiche.
La spedizione comandata da Garibaldi può contare su 15 bastimenti, alcune
imbarcazioni minori, una parte della Legione Italiana, 200 orientali comandati dal
colonnello Batlle, 100 cavalieri con due pezzi di artiglieria da 4”, e deve raggiungere
l’importante località di Salto, distante 500 chilometri da Montevideo. Con l’aiuto
delle navi anglo-francesi sbarca nella città di Colonia e poi conquista l’isola di Martín
García di fondamentale importanza strategica per la sua posizione. Tutto sembra
procedere bene, e Garibaldi riesce a distruggere la maggior parte delle batterie
costiere nemiche, poi lasciata la protezione della flotta alleata, inizia a risalire il
fiume Uruguay.
In mancanza di rifornimenti adeguati, assale Gualeguaychú e si impossessa dei
materiali militari custoditi nei suoi magazzini, poi passa sotto il fuoco della batteria di
Paysandù, vince un combattimento presso l’estancia Hervidero contro alcuni
centinaia di argentini al comando del generale Garzòn e del colonnello Lavalleja, che
avevano tentato un improvviso attacco notturno. Alla fine riesce a raggiungere
l’importante località di Salto dove si appresta alla difesa, perché sa che il generale
Urquiza con numerose truppe si sta dirigendo verso di lui, ma, prima che arrivi quel
nemico, Garibaldi assale un appostamento difensivo di argentini e li mette in fuga.
Per tre giorni di seguito, le forze di Urquiza tentano la presa di Salto, ma alla fine
devono ritirarsi con gravi perdite. Inizia così un assedio che termina dopo 18 giorni
ed Urquizia decide di procedere verso nord cercando un altro guado dove attraversare
il fiume, ma si lascia dietro una divisione al comando di Servando Gómez con circa
di 2.000 uomini, per fronteggiare le forze di Garibaldi. L’8 febbraio 1846, Garibaldi
compie una sortita fuori della cittadella di Salto allo scopo di andare incontro a
rinforzi che gli sono stati segnalati, ne nasce un combattimento che sarà conosciuto
come battaglia del Salto di S. Antonio. In questo scontro la fermezza e le doti tattiche
di Garibaldi porteranno alla vittoria la Legione Italiana e gli procureranno lodi ed
onori. Una volta respinto l’esercito argentino, Garibaldi comprende che la campagna
degli Unitari non riesce a far sollevare le province del Litorale del Paraná, che
rimangono fedeli ai Federali di Rosas. Intanto, il generale Rivera, tornato a
Montevideo, proveniente dal Brasile dove era riparato, riunisce tutte le forze
"coloradas" e riesce a scacciare i federali dal fiume Uruguay, ma commette l'errore
politico di cercare accordi personali con Rosas, Oribe ed il Brasile, per cui i Franco-
Inglesi lo fanno destituire.
Garibaldi il 10 luglio è nominato Comandante della piazza di Montevideo: un
incarico importante, ma che provoca scontento non tanto nelle varie comunità estere,
ma nella popolazione locale, che non vede di buon occhio uno straniero in un posto
così di prestigio. La Legione Italiana viene presa nel vortice di un movimento di
ribellione, nel quale si tenta di assassinare Garibaldi, di disarmare il battaglione
italiano e perfino di vendere la città al nemico, ma l’intervento determinato dei
Franco-Inglesi porta ad un armistizio tra il governo di Montevideo e la Federazione
Argentina.
La pace sembra essere arrivata, le notizie provenienti dall’Europa, insieme al fatto
che il Papa Pio IX aveva concesso la Costituzione, convince parecchi esuli italiani
che é arrivato il momento di tornare in Patria. La sera del 20 aprile 1848, Garibaldi,
insieme al suo luogotenente Anzani ed a 80 fedeli legionari, si imbarca su una nave
diretta in Italia, comperata dai commercianti italiani di Montevideo come segno di
gratitudine verso i legionari, ribattezzata "Speranza" e caricata di 1000 fucili e due
cannoni, offerti dal Governo della Difesa per la causa italiana. Garibaldi lascia il sud
america, ma non per sempre, infatti ci ritornerà in cerca di rifugio e di un benessere
economico ma senza più Anita, morta per mancanze di cure durante la fuga da Roma.
Nascono, quindi, in America del Sud i Legionari che sono l’anticipazione dei
Garibaldini; in questo continente Garibaldi affina ed allena le sue doti militari, è
questa la palestra delle sue prime battaglie.
Scarsezza di rifornimenti, povertà di armamento, decisione e fermezza anche nei
momenti più pericolosi, precisione nel tiro ed estrema mobilità, visione d’insieme e
capacità di sintesi, queste saranno alcune delle lezioni imparate a caro prezzo, ma che
risulteranno di utilità estrema a Garibaldi, nel corso delle campagne militari in
Europa.Sulla Repubblica Sociale Italiana (RSI), nota impropriamente anche come
Repubblica di Salò, è stato scritto tanto. Vi sono almeno due tipologie di lavoro e non
solo, una dichiaratamente agiografica ed un’altra altrettanto dichiaratamente critica,
entrambe queste vie possiedono i loro appassionati lettori. Le forze armate della RSI
furono, dal punto di vista militare, eredi delle tradizioni del Regno d’Italia, sia nelle
dottrine tattiche sia nei suoi alti comandi. Il 23 settembre 1943 Mussolini dava
origine alla RSI nei territori dell'Italia settentrionale, con l'esclusione delle province
di Trento, Bolzano, Belluno, del Friuli e della Venezia Giulia, amministrate
direttamente dai tedeschi, e di fatto annesse, anche se non formalmente, al Terzo
Reich. Fu fin dall’inizio una “guerra civile”, che non finì con il termine della guerra,
ma che proseguì con l’ondata di vendette per fini politici o personali, senza nessuna
interruzione fino ai giorni nostri, passando attraverso “guerra fredda”, “stragi di
stato” ed “anni di piombo”. Ultime ma non definitive, le polemiche suscitate da un
tentativo di revisionare la storia passata, attraverso il filtro di recenti documenti ed
una nuova visione del panorama politico italiano. Il “sangue dei vinti”, “le foibe” ed
il giusto sentimento di fratellanza ci ha riportato di nuovo a separarci su argomenti
così lontani, ma ancora così sentiti e presenti. La RSI si dissolve il 25 aprile 1945,
dopo essere stata riconosciuta dalla Germania e dai suoi stati satelliti, dalla Bulgaria,
dall’Ungheria, dal Giappone, dalla Svizzera e perfino da San Marino. Fin dall’inizio
fu chiaro a tutti che la guerra era persa, si trattava di trovare uno spazio adeguato per
una resa onorevole, ma gli interessi e le forze in campo erano tali da impedire
qualunque scelta possibile senza l’intervento diretto di Hitler. Il 25 luglio 1943 il
Gran Consiglio del Fascismo, aveva delegittimato Mussolini, che nel pomeriggio
ricevuto dal Re nella sua residenza di Villa Ada su suo ordine fu messo agli arresti. Il
Re sostituì il duce con il generale Pietro Badoglio, preparando così la sua fuga e la
proclamazione dell'armistizio di Cassibile con gli Alleati dell’8 settembre (già
firmato il 3 settembre 1943).
La famiglia reale fuggita da Roma riparò a Brindisi insieme a Badoglio, intanto
l’intero apparato dello Stato italiano si scioglieva come neve al sole, mentre le truppe
tedesche attraverso l’operazione Achse (già da tempo in programma) prendevano il
controllo del paese. L’Italia risultava divisa in due: occupata dalle forze alleate al sud
e dalle forze tedesche al centro nord. Attraverso questo “passaggio di sponda”, il Re
salvò la sua vita evitando di finire al muro (come poi toccò a Mussolini), inoltre
abbracciando in extremis la causa alleata, la Monarchia si candidava ad una sua
possibile futura alternativa anticomunista, al momento di ricostituire a fine guerra,
un’eventuale forma di governo riguardante l’Italia. La guerra che il fascismo aveva
fatto per conto del Re fu subito dimenticata con un colpo di spugna e gli strettissimi
legami tra Mussolini e Vittorio Emanuele III di Savoia spazzati via. Mussolini
divenne un uomo scomodo sia per Churchill, che nel 1933, lo aveva definito «il più
grande legislatore vivente», sia per Pio XI che nel 1932 gli aveva conferito l'Ordine
dello Speron d'Oro mentre Pio XII lo aveva definito «il più grande uomo da me
conosciuto, e senz'altro tra i più profondamente buoni».
Una volta arrestato Mussolini (25 luglio 1943) si procedette a condurlo in una
caserma dei carabinieri in via Legnano dove pernottò tre notti; poi dal 28 luglio
sull'isola di Ponza, dal 7 agosto sull'isola della Maddalena e infine dal 28 agosto ai
piedi del Gran Sasso per poi salire il 3 settembre a Campo Imperatore dove restò,
controllato da 250 carabinieri e guardie di Pubblica Sicurezza, sino alla liberazione da
parte di un reparto di paracadutisti tedeschi.
“Liberate Mussolini!”, questo fu il primo pensiero di Adolf Hitler la sera del 25
luglio, appena giunta al suo Quartier Generale la notizia dell’arresto del Duce.
L'Operazione Quercia (in tedesco, Fall Eiche) fu l'azione di liberazione di Benito
Mussolini, che si trovava imprigionato a Campo Imperatore sul Gran Sasso, effettuata
dai paracadutisti del Lehrbataillon (II divisione) e da alcune SS del Sicherheitsdienst
(SD), durante la seconda guerra mondiale, il 12 settembre 1943.
“Mussolini viene imbarcato sulla "cicogna" del capitano Gerlach, uno degli assi della
Luftwaffe, col quale Skorzeny insiste per essere anch'egli trasportato assieme a
Mussolini. La "cicogna" lascia Campo Imperatore per dirigersi a Pratica di Mare,
dove un altro velivolo lo aspetta per condurlo a Vienna” (M. Marzilli, Paracadutisti
tedeschi, 1939-1945. Edizioni Chillemi, 2008).
Mussolini discute della situazione italiana diverse volte con Hitler, fino ad accettare
la soluzione di creare un governo fascista al nord. Le forze armate erano allo sfascio,
ma l’apparato statale era ancora in piedi e Mussolini si mise in moto nel tentativo di
trovare una soluzione politica credibile per quanto traballante, si appellò alle sue
origini, al programma dei Fasci italiani di combattimento del 1919, aggiungendo
qualche spruzzata di socialismo ed ideali repubblicani.
Il nuovo stato fascista viene ufficializzato il 23 settembre 1943 e poco dopo il
neonato governo si insedia a Salò, sul Lago di Garda. La località era strategicamente
importante, vicina a Milano ed alla frontiera tedesca, ben protetta dall’arco alpino ed
al centro di una zona ancora fattivamente produttiva. La Repubblica Sociale Italiana
fu un ente di fatto voluto da Hitler per amministrare i territori occupati del Nord
Italia, con una Costituzione che pur essendo stata redatta non venne mai discussa ed
approvata.
Benito Mussolini fu, di fatto, il capo della Repubblica, capo del Governo e ministro
degli Esteri. Il Partito Fascista Repubblicano (PFR) fu retto da Alessandro Pavolini.
La Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) raccolse ciò che rimaneva al nord della
MVSN, dell'Arma dei Carabinieri e della Polizia dell'Africa Italiana, e fu forgiata con
compiti di polizia giudiziaria e di polizia militare e posta sotto il comando di Renato
Ricci.
Coloro che diedero vita alla Repubblica Sociale Italiana ritennero non solo di salvare
l'onore italiano, ma di poter così operare per la tutela di alcuni interessi italiani.
Secondo i tedeschi con l'armistizio dell'8 settembre 1943 era stato commesso un
“tradimento” nei loro confronti e per tale motivo furono sempre assai restii a fornire
alla RSI i mezzi per ricostruire un esercito efficiente e numeroso. Accordi precisi con
Hitler permisero alla Repubblica Sociale di avere un esercito composto da quattro
divisioni regolari italiane addestrate in Germania. Inoltre il positivo riscontro iniziale
ai bandi di chiamata dei volontari fascisti e la militarizzazione di organizzazioni
esistenti fornirono la RSI di circa 500.000-600.000 persone sotto le armi. I reparti
furono impiegati in operazioni antiguerriglia e nei combattimenti contro gli Alleati ad
Anzio, in Toscana e più tardi sul Senio. La divisione alpina addestrata in Germania si
batté sul fronte toscano, mentre qualche operazione militare contro gli Alleati venne
effettuata anche da parte della Marina e dell'Aviazione. Le forze militari della RSI
non furono utilizzate in modo massiccio contro gli Alleati per una precisa volontà
tedesca, nonostante i tanti inviti di Mussolini. In fatto di regimi collaborazionisti o
governi fantoccio, la Germania possedeva un’ottima esperienza: lo stato satellite della
Romania con il suo fascismo legionario, il regime di Vichy in Francia, la repubblica
slovacca, lo stato croato degli ustascia in Yugoslavia, il regime delle croci frecciate in
Ungheria. Senza contare la Norvegia di Vidkun Quisling, l’Olanda di Anton Mussert,
il Belgio francofono di Degrelle oppure la Cecoslovacchia ed il fallimento dell’ESPO
in Grecia. Un colpo forte per Mussolini fu il mancato rispetto territoriale della RSI da
parte dei tedeschi. Il 10 settembre del 1943, Hitler, spinto dal desiderio di
riappropriarsi dei territori storicamente legati all'impero Asburgico, concesse ai
Gauleiter del Tirolo e della Carinzia di annettersi molte zone del Triveneto.
L’annessione fu spiegata con l’esigenza militare di creare due zone di Operazioni:
quella delle Prealpi (province di Trento, Bolzano e Belluno) e quella del Litorale
Adriatico (province di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, Lubiana, Zara),
direttamente poste sotto il suo controllo. In quell’attimo Mussolini ebbe la conferma
di essere ostaggio della Germania e senza via di fuga.