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Articoli

  • Una svolta politica, gli anni della Seconda Repubblica secondo Gunnella

     

    “Una svolta politica”, gli anni della Seconda Repubblica secondo Gunnella

    giovedì 19 dicembre 2019

     

    È nelle librerie un nuovo lavoro di Aristide Gunnella, significativamente intitolato “Una svolta politica, un sogno impossibile. Cronache di sei mesi della Seconda Repubblica, Novembre 1995 – Aprile 1996” (Edizioni Chillemi, pp.160, 15 euro).

    Questo nuovo libro costituisce la continuazione di un ragionamento sulla recente storia della vita politica italiana iniziato da Aristide Gunnella con “Il doppio volto della Prima Repubblica” (edizioni Cisu), uscito lo scorso anno, in cui l’autore individua le responsabilità e spiega i motivi che hanno determinato il crollo dei partiti democratici che avevano guidato l’Italia dal secondo dopoguerra al 1993, e l’eliminazione della loro classe dirigente.

    “Una svolta politica” è una riflessione in cui Gunnella individua i motivi per cui, dopo la fine della Prima Repubblica, non nasce, se non per enunciazione, una Seconda Repubblica fondata su una nuova Costituzione. Da quel momento si capisce perché l’Italia è stata abbandonata, dal 1994 ad oggi, in uno stato al limite del marasma. La necessità di una nuova CIl arta costituzionale era avvertita dalla parte più avveduta della classe dirigente, ed in particolare da Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema.

    L’occasione doveva essere la Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, più nota come Bicamerale, istituita con legge il 24 gennaio 1997, che però nasce senza speranza di poter portare a termine il suo compito. Questo dato si comprende dalle vicende del semestre che chiude la XII legislatura, dal novembre 1995 fino ad aprile 1996, esaminate da Gunnella attraverso i sui articoli pubblicati in quel periodo e, adesso, raccolti in “Una svolta politica”, testo molto importante per capire perché la Seconda Repubblica in realtà non è mai nata e perché l’Italia è ancora ferma alla prima Costituzione, peggiorata con successivi rimaneggiamenti, a partire dal 1993 con la riforma dell’articolo 68 sull’immunità parlamentare fino ad arrivare al recente taglio del numero dei parlamentari.

    Dalle pagine del libro emergono furbizie, inganni, atteggiamenti superficiali, schermaglie, tradimenti, tensioni e piccole manovre condensate in un’amara commedia politica descritta argutamente in una dimensione che può apparire simile a quella di un diario, dove anche i passaggi politici più intricati sono disvelati con grande chiarezza, anche grazie ad una prosa piacevole, limpida e spesso anche raffinata ed immaginifica. Un libro assolutamente da leggere per capire un percorso politico convulso, di cui ancora oggi non si vede la fine, attraverso il ragionamento di uno dei maggiori conoscitori della politica, qual è Aristide Gunnella.

     

    di Pier Ernesto Irmici

  • Storia e memorie di un “trasporto” Roma-Mauthausen 1944

    Storia e memorie di un “trasporto” Roma-Mauthausen 1944

    Il 23 gennaio alle 17:30 in Sala Nervi della Biblioteca Civica di Verona la presentazione del libro Elementi Indesiderabili, storia e memorie di un “trasporto” Roma-Mauthausen 1944 di Eugenio Iafrate, a cura di Elisa Guida, Edizioni Chillemi. Presenterà e dialogherà con l’autore la Prof. Manuela Tommasi, studiosa della Resistenza.
    L’evento rientra nel calendario di incontri della Biblioteca organizzati in collaborazione con ANED, con il patrocinio del Comune di Verona per la commemorazione delle vittime delle deportazioni.

    https://www.verona-in.it/2019/01/22/elementi-indesiderabili-di-eugenio-iafrate/

     

  • Edizioni Chillemi il volume di Enrico Cursi “Carabinieri da eliminare”

     Il 7 ottobre ricorrono i 75 anni dalla deportazione in Germania dei Reali Carabinieri ad opera delle truppe occupanti tedesche. Un episodio poco noto, che costituisce un esempio tipico della fedeltà e del sacrificio, che anche un corpo di polizia militare come l’Arma dei Carabinieri ha espletato e continua ad espletare nei propri oltre due secoli di storia istituzionale. A ricordo di tale esperienza, inizio di quel lungo cammino, che ha riguardato centinaia di migliaia di Internati Militari Italiani (IMI), è uscito per i tipi delle Edizioni Chillemi il volume di Enrico Cursi “Carabinieri da eliminare”. Proponiamo qui la postfazione dello storico Giovanni Cecini, amico del nostro blog, che ci ha indicato l’importanza di questa ricorrenza storica.

    Alla fine della presente narrazione, che ha sviluppato tutte le sfaccettature dell’azione dei militari dell’Arma contro l’arbitrio e la sopraffazione della Wehrmacht, sgorga nell’animo del lettore un grande senso di pietà e di riconoscenza. Nelle pagine del volume di Enrico Cursi, sembrano rivivere le intense iniziative del legittimo Comando Generale e delle dipendenti unità centrali o territoriali, volte tutte a mantenere il pieno controllo della delicata situazione, creatasi in quella calda estate 1943. L’arresto di Mussolini prima e la successiva uscita dalla guerra dell’Asse poi ebbero infatti come immediato effetto lo sbandamento psicologico di una Nazione, prima che quello materiale, dovuto anche alla pronta e calcolata reazione bellica tedesca.
    I carabinieri, catapultati come tutti gli altri militari e il Paese intero alla prova dei fatti in un sostanziale quanto larvato ribaltamento d’alleanza, hanno preso sin da subito le armi e condotto uno scontro aperto contro l’aggressività germanica. Come non mai, nelle intense ore dell’8 e 9 settembre si confermò quell’esistenziale binomio funzionale, derivante dal doppio ruolo di arma combattente e di corpo di polizia, affidato sin dalla sua costituzione all’Arma dei Carabinieri. In ciò il Comando Generale (finché esso ebbe vita) poté contare sul valido supporto di ufficiali dall’alto profilo morale e professionale. Grazie ad essi i comandi territoriali hanno potuto reggere anche di fronte alle reiterate minacce tedesche, volte tutte a depotenziare con gradualità l’autorevolezza e la saldezza di spirito dei militari dell’Arma. Questo ultimo bieco proponimento non ebbe il risultato sperato. I carabinieri oggetto di narrazione, sia che fossero in servizio attivo permanente o richiamati, hanno dato invece un loro incorrotto e valido contributo alla salvaguardia dell’ordine pubblico e della continuità dello Stato. Emblematico il tortuoso salvataggio della bandiera di guerra dell’Arma. Tutto ciò avvenne nonostante la grande confusione, derivante dall’intempestiva proclamazione dell’armistizio, nonostante le repentine (e anzi spesso preventive) misure draconiane tedesche e infine nonostante l’abbandono della Capitale delle più alte cariche politiche e militari dello Stato legittimo.
    L’ordine di disarmo, disposto dalle ricostituite istituzioni fasciste, divenne il momento delle scelte: accettare passivamente gli eventi o predisporre nel miglior modo un’azione ostruzionistica verso la prepotenza e l’arbitrio dei comandi germanici. Una volta chiusa l’esperienza di resistenza attiva contro i tedeschi e la seguente cessazione delle ostilità, siglata dalle residuali istituzioni monarchiche presenti nella Capitale, i carabinieri gestirono l’emergenza in modo composto e votato sempre alla salvaguardia della popolazione e dell’ordine pubblico. Creando un reticolo di collegamenti ufficiali od ufficiosi, le unità territoriali ebbero il grande coraggio di tenere testa all’ex alleato, sempre più galvanizzato dalla rapida occupazione di Roma, delle zone limitrofe e dalla liberazione di Mussolini.
    Il successivo disarmo fu l’anticamera dell’eliminazione dei carabinieri, come ci indica il titolo del volume. Il preciso racconto della deportazione diventa quindi una struggente carrellata di testimonianza di quel che i carabinieri dovettero patire, ancor prima di essere costretti nei campi detentivi. Già sapendo che la destinazione sarebbe stata la Germania, il lettore è stato condotto lentamente e con un crescendo di commozione al seguito di quei poveretti, vessati da mille tribolazioni. Il lungo peregrinare, causato in tempo di guerra dalle difficili linee di comunicazione, si trasformò in un’anticipata agonia. Alcuni di loro, percorrendo in carri bestiame un percorso tortuoso e allucinante (durato ben 7 giorni!), che ha toccato tra l’altro Firenze, Bologna, Modena, Genova, Ventimiglia, Marsiglia, Lione e infine Monaco di Baviera, arrivarono stremati ancor prima di iniziare il loro inferno personale. Infatti solo allora in qualità di internati militari, ossia una finzione giuridica che toglieva agli italiani i diritti riconosciuti invece dalle convenzioni internazionali ai prigionieri di guerra, prendeva avvio la lunga marcia verso l’ignoto.
    Insomma la narrazione ci ha offerto uno spaccato inedito, ma non per questo avulso dalla proverbiale missione di fedeltà, insita nell’istituzione dei Carabinieri. La scelta, di ritenere l’onore verso il giuramento prestato come massima direttrice delle proprie azioni, testimonia oggi come ieri l’esempio più concreto di come gli appartenenti alla Fedelissima esplichino il proprio servizio fino all’estremo sacrificio. Per molti dei carabinieri di quel settembre-ottobre 1943 significò la morte, per altri l’atroce destino nei campi di prigionia, per altri ancora la fuga verso un futuro di ulteriore lotta, questa volta in clandestinità. Se oggi viviamo in una Repubblica libera e democratica, lo dobbiamo anche a questo loro silenzioso sacrificio.

    Giovanni Cecini

     

     

     

    POSTED ON7 OTTOBRE 2018AUTHORFRANCO DI SANTOCATEGORIESSTORIA MILITARE ITALIANATAGCARABINIERI, CARABINIERI DA ELIMINARE, EDIZIONI CHILLEMI, ENRICO CURSI, GIOVANNI CECINI, INTERNATI MILITARI ITALIANI - IMI, SECONDA GUERRA MONDIALE

     

     

     

     

     

    https://storiaesoldati.wordpress.com/tag/edizioni-chillemi/

     

  • Wikiwand - Edizioni Chillemi

    Edizioni Chillemi è una casa editrice italiana nata in una vecchia tipografia negli anni quaranta[1] a ridosso della seconda guerra mondiale a Roma. Specializzata attualmente in pubblicazioni storiche, oltre a testi specialistici, ha pubblicato una collana di Storia militare dedicata allo studio delle tattiche e delle strategie nei diversi periodi storici: dall'antichità ai giorni nostri. La casa editrice ha collaborato per la ricorrenza del 25 aprile con l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, attraverso il suo periodico Patria Indipendente.

    http://www.wikiwand.com/it/Edizioni_Chillemi

     

  • GLIBBO - Garibaldini, all'attacco!

    http://www.glibbo.it/IT/news/post/90277

     

  • Video: Scharfschützen üben im urbanen Gelände

    Lehnin, 26.09.2016, 16E32301.
    Straßenschluchten statt weite Flächen: Auf dem Truppenübungsplatz im brandenburgischen Lehnin üben Soldaten und Objektschützer der Luftwaffe den infanteristischen Kampf im urbanen Gelände, um ihre Fertigkeiten auch in der Betonwüste zu perfektionieren.

     

    • Hier das Video als MP4 für mobile Endgeräte

     

    Die Objektschützer der Luftwaffe sichern Flugfelder und deren Bebauung. Die Natur ist ihr Element. Der Gegensatz dazu ist die Stadt: Doch auch hier müssen die Scharfschützen möglichst unerkannt bleiben.

    Genau das ist der Hauptbestandteil der Übung auf dem brandenburgischen Truppenübungsplatz in Lehnin. Dabei gilt hier genauso wie in der Natur: Den Auftrag erfüllen und dabei sehen ohne gesehen zu werden.

    https://www.bundeswehr.de/portal/a/bwde/!ut/p/c4/NYy7DsIwEAT_6M4GlEh0iUJBSwOhu9hOOMmPyLokDR-PXbArTTOrxTeWRtp5IeEUyeMLR8PX6YDpsA7C5oWDs0yws3WJsvnwDn6b5aB5dnBSusFnfSlrk6KTSnFRuHDJJCnDmrL4araciwG2OCo99LpV_-hvd2v6ob2o83DvH7iG0P0AbHS4kQ!!/

  • U.S. Army - Special Forces

    Special Forces Soldiers carry the most advanced equipment in order to complete the most sensitive missions. Below, you'll find some of the gear Green Berets use in the field. 

    Parachutist Oxygen Mask (POM)

    Halo Helmet

    High-Altitude Low-Opening (HALO) jumps are made from extreme heights, requiring an oxygen supply. The high altitude allows entire teams, undetected by radar, to infiltrate a combat area.

    Advanced Ram Air Parachute System

    Advance Ram Air Parachute System

    This parachute is specially designed for HALO jumps and can function reliably in severe environmental conditions.

    night vision view of soldier reviewing map

    Night Vision

    This advanced technology allows Special Forces Soldiers to see during night operations or in dark environments.

    Special Forces water training

    Re-Breather

    The Re-Breather is a simple underwater breathing device allowing Special Forces Soldiers to navigate rivers and streams unnoticed.

    Special Forces water training

    Kayak

    Kayaks allow Special Forces Soldiers to move silently through rivers and lakes.

    soldiers in fire position riding in kodiak

    Inflatable Boat

    Operatives use these lightweight boats to execute amphibious (water to shore) landings, or to launch from a helicopter.

    Long Range Communication Equipment

    Long-Range Communications

    Special Forces Soldiers use the latest technology to communicate, whether it's radio, text messages or through a satellite computer.

    M4 Carbine

    M-4 Carbine

    The M-4 Carbine rifle is lightweight and customizable, making it the Special Forces Soldier's ideal choice for a wide variety of small-unit missions.  

    M9 Pistol

    M9 Pistol

    The M9 Pistol is a semi-automatic, double action pistol that has a rail system to allow attachment of an Integrated Laser White Light Pointer (ILWLP). The ILWLP provides a tactical advantage in close combat operations and has resulted in increased lethality and survivability for Special Forces Soldiers.     

    Nett Warrior - End User Device

    Nett Warrior

    Nett Warrior is an integrated dismounted leader situational awareness system for use during combat operations.

    http://www.goarmy.com/special-forces/equipment.html

  • Progress of Afghan security forces evident, top US commander says

    WASHINGTON -- The Resolute Support mission to train, advise and assist Afghan security forces is producing tangible results, Army Gen. John W. "Mick" Nicholson Jr., commander of the Resolute Support mission and U.S. Forces Afghanistan told reporters at the Pentagon Friday, Sept. 23.

    Having traveled here from his post in Afghanistan, Nicholson gave reporters an operational update and emphasized that Resolute Support, one of two missions in Afghanistan, has been particularly important as "we grow [the Afghans] to take over this mission for themselves."

    The general noted the number of U.S. forces in Afghanistan once totaled 140,000 troops, but now the troop strength is now about one-tenth of that.

    "Our mission has changed from counterinsurgency to train, advise and assist," he said.

    AFGHAN'S SUCCESSFUL OPERATION SHAFAQ

    The progress of Afghan security forces is particularly evident in their special forces, police special units, and its air force, among other elements, in which the Afghans conduct the majority of their operations, he said.

    Since the security forces' Operation Shafaq -- meaning "dawn" -- began about six months ago, its three phases so far have been successful, the commander said.

    The first was the successful defense of Kunduz in April and May when the Afghans defended against a Taliban attempt to take the city, he said.

    In June and July, the security forces successfully shifted to the south in Helmand, western Kandahar, and Uruzgan to expand their security zone, Nicholson said.

    Later in July, they successfully concentrated on Nangarhar in the east to conduct counter Islamic State of Iraq and The Levant operations, he said, adding that the operations were conducted by Afghan special forces enabled by U.S. counter-terrorism forces, and resulted in the deaths of the top 12 leaders of ISIL, including their emir, Hafiz Saeed Khan.

    The general noted that when the enemy attempted to take several provincial capitals this summer, the Afghans were able to restore, stabilize and retain Lashkar Gah, Kunduz, and Tarin Kowt in Uruzgan.

    "In every case, [ISIL] failed … [and] these have been important points of the campaign for the Afghans," he said.

    COUNTER-TERRORISM VITAL IN REGION

    "Of the 98 U.S.- or U.N.-designated terrorist organizations around the globe, 20 of them are in the [Afghanistan and Pakistan] region," Nicholson said, adding that's the highest concentration of different terror groups in any area in the world.

    "While the numbers may be higher in some of these groups elsewhere, the concentration [of] groups in this region is important," he said, noting the second mission in Afghanistan is Operation Freedom Sentinel, which is primarily focused on counter-terrorism operations.

    "Our presence there is critical to keeping pressure on these networks so [the enemy] cannot realize their international ambitions," Nicholson said.

    By Terri Moon Cronk, DOD News, Defense Media Activity

    September 26, 2016

    https://www.army.mil/article/175714/progress_of_afghan_security_forces_evident_top_us_commander_says

  • The British Army in Africa

     The British Army presence in Africa is based upon two main elements in Kenya: The British Peace Support Team (BPST) and the British Army Training Unit Kenya (BATUK), and the International Military Assistance Training Team (IMATT (SL)) in Sierra Leone.
    The British Peace Support Team (BPST (EA))

    BPST's mission is to coordinate UK military assistance to armed forces in Eastern Africa in order to contribute to Security Sector Reform and to increase peacekeeping capacity. To fulfil this mission it has three main parts:

        International Mine Action Training Centre (IMATC)
        Peace Support Training Centre (PSTC)
        A presence in the Kenyan Defence and Staff College (DSC)

    The IMATC is a joint British and Kenyan venture aimed at alleviating the suffering caused by landmines and Explosive Remnants of War by providing high quality Mine Action Training. IMATC opened in February 2005 and is located next to Nairobi's international airport. The IMATC offers an excellent training opportunity for Mine Action due to the bespoke facilities, access to local Kenyan training areas and unique position in a neutral and secure location in Africa.
    East Africa's first dedicated dog detection centre is now open at the IMATC and is currently home to 6 mine detection dogs. Training at the IMATC is exclusively humanitarian in nature and NGOs and other organisations operating in a mine affected region are welcome to use the facilites.
    British Peace Support Team (BPST (SA))
    In South Africa, based in Pretoria at the Peace Mission Training Centre, is the BPST(SA). This team is mandated by the South African Department of Defence to advise on aspects of democratic defence management and peace support operations. The BPST (SA) comprises nine military officers and one civilian support staff.
    British Army Training Unit Kenya – (BATUK)

    BATUK is a permanent training support unit based mainly in Nanyuki, 200 km north of Nairobi, but with a small rear element in Kahawa Bks, just outside Nairobi. It provides the logistic support to visiting units and consists of around 56 permanent staff and reinforcing short tour cohort of another 110 personnel.

    Under an agreement with the Kenyan Government, six infantry battalions per year carry out six-week exercises in Kenya. There are also three Royal Engineer Squadron exercises which carry out civil engineering projects and two medical company group deployments which provide primary health care assistance to the civilian community.
    International Military Advisory & Training

    Team - IMATT Sierra Leone (SL) is located on the southern edge of Sierra Leone’s capital Freetown. The IMATT team's mission is to help develop the Sierra Leone Armed forces into a democratically accountable, effective and sustainable force, capable of fulfilling security tasks required by the Government of Sierra Leone.

    It was established in 2002 from a training team originally deployed following the UK’s intervention to assist the UN in the resolving a 10-year civil war. Over the past 12 years the Republic of Sierra Leone Armed Forces (RSLAF) has been restructured and trained so that today the Navy is policing the country’s fishing grounds and the Army are contributing force elements to the UN and African Union, with recent deployments in Sudan and Somalia.

    The size of IMATT(SL) has gradually decreased as the competence of RSLAF has grown.

    © 2015 Crown Copyright

    http://www.army.mod.uk/operations-deployments/22724.aspx
     

  • Point de situations des opérations au 22 septembre 2016
    Mise à jour : 22/09/2016 18:02

    BARKHANE

    2016_TLIL_352_059

    APPRECIATION DE SITUATION

    La situation sécuritaire au Mali a été marquée cette semaine par des tensions entre groupes armés signataires (GAS) au Nord Mali.

    Sur l’ensemble du théâtre, l’action des groupes armés terroristes (GAT) reste contrainte par l’activité de la force Barkhane et des partenaires du G5 Sahel, obligeant les GAT à développer des techniques de harcèlement et des actions asymétriques.

    ACTIVITÉS – de LA FORCE

    La période des pluies qui se finit fin octobre rend difficilement praticables les pistes et ne permet pas de mener des opérations d’envergure. Cependant, la force Barkhane poursuit sa stratégie et  adapte le tempo des opérations au contexte.

    Opération HERAULT 13

    En dépit de ces conditions parfois difficiles, assurer la continuité de la manœuvre logistique reste indispensable. Les militaires du bataillon logistique ont ainsi mené l’opération HERAULT 13, convoi logistique entre Gao et Kidal dans le but de ravitailler l’emprise du Nord-Mali entre les 11 et 17 septembre.

    Conduite sur un terrain détrempé, en raison des nombreuses pluies qui s’abattent sur la région, la progression des convois a été parfois difficile :  embourbement des véhicules au cours de la progression et problèmes mécaniques accentués par un terrain agressif.

    L’environnement et le contexte opérationnel influencent la préparation de ces opérations : choix des itinéraires, variantes, études de cas non conformes.

    Opération ECRINS

    2016_TLIL_352_259

    Dans la boucle du Niger, Barkhane poursuit l’accompagnement opérationnel des FAMa en inscrivant ses actions dans la durée à l’aide des Détachements de Liaison et d’Appui Opérationnels (DLAO). L’opération baptisée « ECRINS » s’est déroulée du 9 au 16 septembre, dans la région entre Ansongo et Ménaka.

    Conduite par les forces armées maliennes (FAMa) appuyées par le détachement de liaison et d’appui opérationnel 3 (DLAO 3), cette opération est venue clôturer 4 mois d’une coopération très active.

    Après avoir mené une reconnaissance entre Ansongo et Ménaka, les sections FAMa, appuyées par le DLAO 3, ont effectué un contrôle de zone et des reconnaissances d’axes dans la région.

    Cette opération a permis de constater les progrès réalisés par les FAMa, notamment dans la mise en œuvre des points de contrôle (fixe et  mobile). Là où, en début de mandat, 4 jours auraient été nécessaires pour reconnaître les 240 km qui séparent Ansongo de Ménaka, 2 jours ont suffi lors de cette opération.

    L’activité aérienne est restée soutenue cette semaine avec près de 96 sorties dont 8 de chasse en appui des opérations, 14 sorties d’ISR et de ravitaillement en vol, 74 sorties de transport. Le nombre élevé de sorties de transport offre aux forces terrestres la mobilité recherchée et la capacité de livrer par air le soutien attendu sur les postes les plus avancés du dispositif.

    LEVANT/CHAMMAL

    SITUATION

    Alors qu’en fin de semaine dernière, une accalmie relative régnait sur le plan des opérations en raison des fêtes de l’Aïd et du cessez-le-feu, les récents incidents y ont mis un terme.

    La stratégie de la coalition pour mettre en difficulté Daech porte peu à peu ses fruits en parvenant à isoler progressivement l’organisation sur différents plans. Les reprises de Mossoul et de Raqqah demeurent les prochains objectifs militaires.

    Dans ce contexte, en Syrie, Daech organise sa défense autour d’Al Bab et effectue un repli vers l’Est.

    En Irak, Daech poursuit ses activités de harcèlement dans la région de Qayyarah alors que les forces irakiennes ont repris l’offensive contre les poches de résistances restantes, près de Sharqat notamment.

    ACTIVITÉS DE LA FORCE CHAMMAL

    2016_AJOD_451_001_011

    Les avions de la coalition ont poursuivi leur action au profit des forces de sécurité irakiennes au sol.

    Les 38 sorties ont inclus 3 vols de renseignement, 3 vols de commandement et de conduite aéroportés. Elles ont permis de réaliser 10 frappes aériennes. Ces dernières ont été majoritairement menées dans le nord de l’Irak. Elles s’inscrivent dans une phase de destruction des lignes de défense du groupe terroriste à proximité de la ville de Mossoul.

    Parmi les frappes, 1 mission planifiée a été conduite par 4 Rafale le 18 septembre. 6 SCALP ont permis de détruire un centre d’entrainement et de production d’engins explosifs dans la région de Mossoul. Le reste des frappes a concerné des missions d’appui au profit de troupes au sol.

    Marquant également la volonté française d’intensifier les efforts contre Daech, en soutien des forces irakiennes, le groupe aéronaval avec le porte-avions Charles de Gaulle est actuellement en mer dans une phase d’entraînement et de montée en puissance avant de rejoindre sa zone d’opérations en Méditerranée orientale. Il permettra  de renforcer la capacité de frappes aériennes au sein de l’opération OIR.

    2016_AJOD_451_001_021

    Sources : EMA
    Droits : Ministère de la Défense

    http://www.defense.gouv.fr/operations/actualites/point-de-situations-des-operations-au-22-septembre-2016#

  • Afghanistan - Resolute Support

    • Inizio Missione: 1 Gennaio 2015
    • Fine Missione: -
    • Stato: In Atto
    • Luogo: Afghanistan
    • Area Geografica: Asia

    ​​​​​  

    Il 31 dicembre 2014 la missione ISAF è terminata e l’1 gennaio successivo è stata avviata la nuova missione a guida NATO “Resolute Support” (RS), incentrata sull’addestramento, consulenza e assistenza in favore delle Forze Armate (Afghan National Security Forces – ANSF) e le Istituzioni afgane. L​a nuova missione, operando ai più alti livelli della catena gerarchica, è finalizzata a migliorarne la funzionalità e la loro capacità di autosostenersi.

    ​

    Il passaggio a RS, che si differenzia da ISAF in primo luogo per essere di tipo “no combat”, e sensibilmente più contenuta nei numeri, era stato deciso al summit di Chicago del 2012, che sanciva il 2014 come anno del completamento della fase di transition, ovvero il pieno passaggio della responsabilità della sicurezza dalle forze ISAF alle ANSF.

    ​RS ha come centro nevralgico la capitale Kabul, e 4 “derivazioni”: Mazar-e Sharif a nord, Herat ad ovest, Kandahar a sud and Laghman ad est. Il Comandante di RS è il Generale John F. Campbell (USA), già Comandante della missione ISAF.

    ​Il passaggio da ISAF ad RS non è solo un cambio di denominazione. È un punto di arrivo dopo 13 anni di sforzi, culminati nella creazione di uno stato di diritto, istituzioni credibili e trasparenti, e soprattutto delle Forze di Sicurezza autonome e ben equipaggiate, in grado di assumersi autonomamente il compito di garantire la sicurezza del Paese. RS, benché disponga di forze ben più ridotte rispetto ad ISAF, dimostra come la comunità internazionale sia ancora al fianco del popolo afgano, e prosegua nel suo impegno fornendo addestramento, consulenza ed assistenza alle attività delle istituzioni afgane.​​

    http://www.esercito.difesa.it/operazioni/operazioni_oltremare/Pagine/Afghanistan-RS.aspx

  • La morte del Mullah Mansour e la nuova leadership talebana

     07 GIUGNO 2016
    La morte del Mullah Mansour e la nuova leadership talebana
    di Francesca Manenti

    Sabato 21 maggio il leader dei talebani, Mullah Ahtar Mansour, è rimasto ucciso in un attacco condotto da un drone statunitense nella provincia pakistana del Balochistan. Lo strike aereo ha colpito l’auto sul quale si trovava il Mullah nei pressi della città di Ahmad Wal (distretto di Naushki) a circa 200 chilometri da Quetta. Se, in un primo momento, la vicinanza al confine con l’Afghanistan avesse lasciato presupporre che Mansour avesse da poco attraversato la frontiera dalla provincia di Kandahar (sua regione natia), non è da escludere che il leader talebano fosse invece in transito sulla strada provinciale N40, che collega la città di Quetta con la località di Taftan, unico valico di frontiera ufficiale verso l’Iran.

    Non sarebbe la prima volta, infatti, che esponenti talebani abbiano cercato un dialogo con le autorità di Teheran. Già nel maggio 2015 una delegazione dell’ufficio di rappresentanza dell’Emirato Islamico d’Afghanistan in Qatar, capeggiata da Tayab Agha, era giunta in Iran per sondare l’eventuale disponibilità iraniana di concedere all’insorgenza un rifugio all’interno dei propri confini nazionali. Sebbene la richiesta fosse finita in un nulla di fatto, l’incontro ha messo in evidenza l’interesse di alcuni ambienti iraniani, verosimilmente all’interno degli apparati di sicurezza, di aprire, o rispolverare, un canale di comunicazione con una realtà, quale quella talebana, di fondamentale importanza per l’evoluzione degli equilibri al di là del proprio confine orientale. Tale volontà sembrerebbe trovare conferma nell’apertura dimostrata da rappresentati delle autorità iraniane ad incontrare, nell’ottobre 2014, Abdul Qayum Zakir, ex comandante militare talebano, allora in rotta con la Shura di Quetta per questioni di potere (e dunque senza posizioni ufficiali all’interno della leadership politica) ma con forti legami con i nuclei di miliziani sul terreno, soprattutto nelle regioni del sud e dell’ovest1del Paese. In un momento in cui proprio le divergenze interne all’insorgenza stavano portando diversi comandanti militari talebani a subire sempre più il fascino di Daesh in Medioriente2, la disponibilità di Teheran a riprendere i contatti con la militanza potrebbe rispondere all’interesse iraniano di scongiurare che la concorrenza tra le diverse anime dell’insorgenza talebana potesse tradursi nella nascita di una nuova realtà jihadista alla porte di casa. In particolare, sembrerebbe che le autorità iraniane fossero disposte a concedere ai militanti cure mediche e supporto logistico in cambio dell’interruzione di qualsiasi contatto con i network jihadisti regionali. Sebbene il progetto di creare una branca dello Stato Islamico in Afghanistan sia poi risultato incompatibile con la natura del tessuto sociale afghano, in cui il modello politico proposto dal Califfato si scontra di fatto con i consolidati rapporti di potere della struttura etno-tribale, Teheran potrebbe aver guardato al mantenimento di un dialogo con la militanza, questa volta con la leadership politica, come ad un’opportunità per gestire anche altre tematiche di primario interesse per la sicurezza interna, quali la gestione dei flussi di rifugiati afghani e il traffico di droga lungo la frontiera comune.

    Se, dunque, non è possibile escludere che ci sia stato effettivamente un contatto tra il Mullah e Teheran, l’elemento di maggior novità legato alla morte del leader talebano è rappresentato dal fatto che gli Stati Uniti, per la prima volta, abbiano condotto lo strike nel Balochistan, vero santuario degli alti ranghi talebani. Fin dal 2004, infatti, anno in cui la Casa Bianca ha approvato il programma di utilizzo dei droni per operazione di targeting contro esponenti di spicco di al-Qaeda e dell’insorgenza talebana, gli attacchi condotti in territorio pakistano sono sempre avvenuti nel nord-ovest del Paese, nelle Aree Tribali (Federally Administrative Tribal– FATA) o nella provincia di Khyber Pakhtnkhwa, luogo di rifugio per i membri di entrambi i gruppi e retroterra logistico ideale per le operazioni condotte poi oltre il confine afghano. Il governo statunitense, infatti, ha sempre considerato prioritario eliminare i comandanti militari che rappresentavano una minaccia diretta per la sicurezza delle Forze internazionali impegnate in Afghanistan piuttosto che decapitare i vertici politici dell’insorgenza, di fatto indispensabili per ipotizzare un dialogo talebani-Kabul. Ciò ha da sempre consentito alla leadership non solo di trovare un indisturbato rifugio a Quetta, ma anche di strutturare una vera e propria rete capillare di contatti, tanto da fare del Balochistan un’area di fondamentale importanza per l’insorgenza. Ad oggi, la rete di facilitatori a disposizione dei talebani si estende ben oltre l’area circostante il capoluogo di provincia e arriva ad includere città quali Zhob, Killi Nalai, Qila Saifullah, Loralai, Chaman, Pishin, Kuchlak, Ahmad Wal, Dalbandin, Chagai e Girdi Jangal, fondamentali per le attività di reclutamento e addestramento dei militanti, nonché di pianificazione ed organizzazione delle operazioni in territorio afghano.

    Tuttavia, in un momento in cui la forza dell’insorgenza in Afghanistan è soverchiante rispetto alla capacità di risposta delle Forze di sicurezza afghane e i successi ottenuti sul campo hanno permesso ai talebani di estendere in modo significativo il proprio controllo in molti distretti (anche al di fuori delle tradizionali enclave nel sud e nell’est del Paese), il pericolo che le operazioni della militanza rappresentano anche per le Forze statunitensi ancora presenti nel teatro afghano sembra aver spinto la Casa Bianca ad eliminare Mansour per lanciare un segnale forte a Quetta. Fin dal suo insediamento, lo scorso agosto, l’ex Emiro si era sempre dichiarato fortemente contrario a qualsiasi negoziato con il governo di Kabul e, di contro, aveva predisposto una fitta campagna militare, all’interno della così detta offensiva di primavera, tale da rendere difficilmente gestibile la sicurezza non solo nelle aree rurali, ma anche all’interno delle zone più sensibili della stessa capitale. In questo contesto, la scelta di eliminare il leader talebano sembrerebbe rispondere al tentativo degli Stati Uniti di imporre una battuta d’arresto, seppur temporanea, all’avanzata della militanza e indurre i vertici politici a prendere nuovamente in considerazione la possibilità di sedersi al tavolo negoziale con le autorità di Kabul.

    La strategia di Washington potrebbe essere stata agevolata dal delicato momento di tensione interna che l’insorgenza sta attraversando dalla scorsa estate. Mansour, infatti, è sempre stato una figura molto contestata all’interno della cerchia talebana: la sua nomina a successore dello storico fondatore del movimento, il Mullah Omar, aveva provocato diversi malcontenti, sia tra alcuni comandanti militari sia tra membri delle gerarchie politiche che ne contestavano la legittimità. Tra questi Muhammed Rasoul, ex governatore della provincia di Nimroz durante il governo talebano (1996-2001), nonché seguace di Omar dai tempi della guerra contro l’URSS, che nel novembre 2015 ha raccolto introno a sé alcuni comandanti locali (soprattutto provenienti dalle province occidentali) e ha annunciato la nascita dell’Alto Consiglio dell’Emirato Islamico d’Afghanistan, una fazione alternativa alla Shura di Quetta che rivendica di rappresentare la leadership legittima del movimento. Una posizione meno netta, ma ugualmente critica, è emersa anche all’interno della stessa Shura di Quetta e dell’ufficio politico di rappresentanza (in Qatar), da esponenti che, seppur non abbiano preso le distanze dal vertice, hanno comunque espresso la propria contrarietà alla nomina di Manosur. Si tratta per lo più di figure di spicco che avevano occupato posizioni di rilievo durante il governo talebano e legate per questo a doppio filo alla figura di Omar. Una sorta di vecchia guardia politica che, di fatto, sembra aver interpretato l’ascesa di Mansour come il risultato di un abile gioco di potere più che l’espressione legittima della volontà del movimento. Infatti, braccio destro di Omar già dal 2010 e coordinatore de facto del movimento da tre anni a questa parte (dopo la morte, non dichiarata, del suo predecessore), l’ormai ex Emiro è stato accusato di aver progressivamente nominato in posizioni chiave all’interno dell’insorgenza rappresentanti della sua stessa tribù (Ishaqzais), per rafforzare i consensi introno al proprio operato ed estromettere possibili contendenti alla leadership. Per la prima volta dalla sua fondazione, dunque, il movimento si è trovato a dover gestire la mancanza di coesione interna e il conseguente pericolo di un possibile smembramento della propria struttura. Benché i successi conseguiti dalla militanza nell’ultimo anno contro le autorità afghane avessero contribuito a riassorbire parte dei malcontenti, l’efficacia e la solidità del gruppo erano, di fatto, messe a repentaglio dalle latenti tensioni e diffidenze tra il vertice e i quadri intermedi. Un primo segnale di tale debolezza sembrerebbe essere rappresentato proprio dalla morte di Mansour, in occasione della quale l’alto numero di detrattori del leader potrebbe aver generato falle nel sistema di sicurezza delle reti talebane e una fuga incontrollata di notizie che, intercettate dalle agenzie di intelligence e dei servizi di sicurezza statunitensi, potrebbero essere state utilizzate come preziose fonti per la pianificazione dell’attacco.

    La consapevolezza da parte delle alte gerarchie del pericolo che queste tensioni interne rappresentano per la tenuta del gruppo nel lungo periodo e l’importanza di ritrovare una coesione interna sembrano aver giocato un ruolo fondamentale nella scelta della nuova leadership. Lo scorso 25 maggio, infatti, la Shura talebana ha eletto all’unanimità come nuovo Emiro Haibatullah Akhundzada, già capo del sistema di giustizia del movimento e primo vice di Mansour durante la sua reggenza. Stimato membro del clero, il nuovo Emiro è sempre stato in contatto con la cerchia di riferimento del Mullah Omar, con il quale condivideva la provenienza geografica (è originario della provincia di Kandhar e, in particolare, del distretto Panjwayi). Inoltre, Akhundzada ha per molti anni insegnato giurisprudenza islamica e coranica ai giovani studenti nell’area di Kuchlak, a Quetta, incarico che, di fatto, gli ha permesso di diventare una sorta di mentore per l’attuale generazione e le nuove leve di militanti. Privo di una qualsiasi esperienza operativa o di diretto comando, il nuovo leader sembra essere stato scelto perché rappresenta un’ideale anello di congiunzione tra la vecchia guardia dell’insorgenza (quell’entourage fedele e nostalgico del Mullah Omar) e i comandanti più giovani, che guardano a lui, grazie alla sua alta formazione religiosa, un legittimo interprete della Sharia e, dunque, di leader spirituale per la militanza. La nomina di Akhunzdada, dunque, rispecchia un atteggiamento profondamente conservatore della Shura, che ha puntato su un leader proveniente dall’enclave storica dell’insorgenza (Kandahar) e promotore di un’interpretazione integralista della Sharia, il cui spessore ideologico e spirituale lo renda di fatto arbitro indiscusso, e non giocatore, delle competizioni per il potere.

    La volontà di ripristinare un solido equilibrio interno è emerso anche nella scelta delle due cariche ancillari rispetto a quella di Emiro, per le quali sono stati scelti Sirajuddin Haqqani (già numero tre della precedente leadership), quale braccio destro di Akhunzdada, e Muhammad Yaqoob in qualità di secondo vice. Benché nelle ore immediatamente successive alla morte di Mansour alcune indiscrezioni avessero paventato la possibilità che Sirajuddin potesse prendere la guida del gruppo, in realtà tale ipotesi è sempre stata alquanto improbabile. Da un lato, perché gli Haqqani, pur essendo uno degli attori fondamentali dell’insorgenza contro Kabul, hanno sempre mantenuto un’identità autonoma rispetto a quella del movimento talebano, con il quale hanno stretto negli anni una collaborazione e una stretta sinergia operativa dettata da ragioni di opportunità per massimizzare l’efficacia delle operazioni contro le autorità centrali afghane. Dall’altro, perché Sirajuddin, originario della provincia orientale di Pakitia e non dalle enclave talebane del sud dell’Afghanistan, non avrebbe avuto una grande presa sugli uomini sul terreno. Tale estraneità avrebbe potuto ben presto determinare uno scollamento tra la leadership politica e la militanza e favorire così l’emersione di comandanti operativi intermedi, esponendo di fatto il movimento al pericolo di una progressiva atomizzazione della propria struttura in cellule locali sempre più autonome rispetto alle disposizioni di Quetta. Nonostante l’impossibilità di nominarlo all’apice della gerarchia, la scelta di promuovere Sirajuddin a braccio destro dell’Emiro sottolinea comunque la volontà della Shura di sugellare il rapporto tra il movimento e la potente famiglia Haqqani, che di fatto continua a gestire il traffico di armi e di droga che dall’Afghanistan si dirama poi verso est, in Pakistan, e verso i mercati dell’Asia centrale, e che fornisce, orami da quindici anni a questa parte, un supporto operativo fondamentale per le operazioni dell’insorgenza in territorio afghano. Inoltre, in un momento in cui il nuovo Emiro è un ideologo più che un comandante, l’abilità e l’esperienza di Sirajuddin saranno fondamentali per gestire e pianificare le operazioni dell’insorgenza. Allo stesso modo, anche la nomina di Yaqoob ha un alto valore strategico per la leadership talebana: figlio minore del Mullah Omar, infatti, Yaqoob era stato tra i primi contestatori della nomina dell’allora Emiro Mansour, accusato di aver usurpato alla famiglia dello storico fondatore dell’insorgenza la guida del movimento. Solo un successivo coinvolgimento da parte di Mansour del giovane Yaqoob in posizioni di pianificazione militare aveva permesso di normalizzare i rapporti tra i due. Ora, la scelta di nominare Yaqoob secondo vice del nuovo Emiro sembrerebbe rispondere al tentativo della Shura di sugellare il rapporto con la famiglia Omar, sia per assorbire qualsiasi tensione con un gruppo tanto influente all’interno della militanza sia nella speranza che il sentimento evocativo legato alla figura dello storico Mullah possa contribuire a serrare ulteriormente i ranghi introno alla nuova leadership.

    In questo contesto, la volontà della leadership talebana di mostrarsi solida e compatta agli occhi della militanza sembra destinata ad avere inevitabili ripercussioni sulla possibilità di riaprire il tavolo di negoziato con Kabul. La sua formazione profondamente tradizionalista, da un lato, e la necessità di lanciare un segnale di forza a quegli uomini sul terreno che, nell’ultimo anno, hanno di fatto ottenuto importanti successi operativi, dall’altro, rende poco probabile che Akhunzdada possa dimostrarsi più incline rispetto al suo predecessore nel voler trovare un punto di incontro con il governo afghano e dare nuovo impulso al dialogo di pace. Al contrario, in un momento in cui il nuovo Emiro sembra voler essere sempre più una guida spirituale per il movimento, la sua inclinazione integralista e il suo apprezzamento per il jihad potrebbero a tutti gli effetti incitare la militanza a portare avanti un’opposizione serrata sia contro le autorità afghane sia contro i contingenti internazionali ancora presenti nel Paese, innescando così una spirale di violenza che potrebbe persino inasprire le già precarie condizioni di sicurezza interne.

    1 Non è casuale che in occasione della visita in Iran Zakir fosse accompagnato dal Mawlawi Awas, governatore ombra del distretto di Bala Boluk, una delle principali enclave dell’insorgenza nell’ovest dell’Afghanistan.

    2 Per maggiori informazioni vedi http://osservatorioterrorismo.eu/articoli/480/reclutamento-isis-in-afgha...

    http://osservatorioterrorismo.eu/articoli/480/reclutamento-isis-in-afgha... http://osservatorioterrorismo.eu/articoli/577/la-morte-del-mullah-mansour-e-la-nuova-leadership-talebana">http://osservatorioterrorismo.eu/articoli/577/la-morte-del-mullah-mansour-e-la-nuova-leadership-talebana

     

  • Il Ce.S.I. - Centro Studi Internazionali, con sede in Roma

     CHI SIAMO

    Il Ce.S.I. - Centro Studi Internazionali, con sede in Roma, è un Istituto nato nel 2004 per volontà di Andrea Margelletti che da allora svolge la funzione di Presidente.

    L'attività del Ce.S.I si articola e si sviluppa a partire dalle richieste di numerosi committenti, istituzionali e privati, che si rivolgono alla professionalità, all'esperienza e al vivo interesse dei suoi collaboratori per l'attualità, l'analisi e l'approfondimento delle tematiche di politica estera e di sicurezza.

    L'obiettivo dell'Istituto è quello di capire e di far capire ciò che accade, in tempi rapidi e nelle modalità più chiare. L'intento è di fornire chiavi di lettura che aiutino il decisore a essere nelle migliori condizioni per trarre le sue conclusioni e fare le sue scelte. Rispetto al lavoro accademico, l'Istituto si caratterizza per analisi realizzate in tempi estremamente contenuti, in maniera tale da poter fornire tempestivamente al committente il punto di situazione richiesto e da averne una immediata e diretta fruibilità.

    Il lavoro del Ce.S.I. trova il suo apice nelle analisi che, con un costante, tempestivo e dinamico aggiornamento, forniscono informazioni e chiavi di lettura obiettive. L'attenzione è posta principalmente su prospettive spesso trascurate dai mezzi di informazione che permettano, a chi ne ha la necessità, di avere un quadro completo e approfondito degli elementi essenziali delle dinamiche in atto.

    Le tematiche oggetto delle analisi del Ce.S.I. sono incentrate sulle dinamiche di politica interna ed internazionale dei Paesi di maggior interesse per l'Italia, specialmente nel Medio Oriente allargato fino all'Africa, all'Asia e ai Balcani. Centrale è il tema della sicurezza e della difesa, nonché quello del terrorismo e del controterrorismo, con una particolare sensibilità al ruolo dell'intelligence.

    Quello che il Ce.S.I. intende fornire è un approccio "sfaccettato" che, nella complessa realtà del mondo contemporaneo, deve fondarsi su alcuni elementi essenziali la cui comprensione è fondamentale per interpretare le dinamiche in atto. In quest’ottica, il Ce.S.I., istituto del tutto indipendente e privato, ritiene che per meglio comprendere quanto accade nel mondo sia necessario avere contatti diretti con tutte le componenti. Ne consegue che è importante stabilire rapporti con realtà statuali e non, anche con quelle con cui le istituzioni ufficiali hanno difficoltà a dialogare, ma con le quali può essere utile tenere aperto un canale di ascolto.

    A tale riguardo, soprattutto sulla base di ricorrenti visite e frequentazioni consolidate, il Ce.S.I. ha la caratteristica di approcciarsi ai Paesi di maggiore interesse e a personaggi di rilievo, esponenti istituzionali o di movimenti di opposizione, anche radicale, per sviluppare approfondimenti sulle problematiche più attuali e per le necessarie valutazioni sui possibili sviluppi, le criticità e le opportunità.

    In definitiva, ciò che differenzia il Ce.S.I. rispetto al panorama degli Istituti di analisi di politica estera in Italia è di rapportarsi non solo con analoghi interlocutori all'estero, ma anche di ricercare e mantenere rapporti privilegiati con realtà statuali e non, coltivando le connessioni con frequenti viaggi nelle zone di interesse. Viaggi che permettono agli analisti del Ce.S.I. non solo di venire a contatto con le realtà locali, ma di trasferirne le esperienze ai propri committenti, in modo che essi possano avere la più chiara visione possibile all'interno di contesti e movimenti sensibili.

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  • Museo Storico della Motorizzazione Militare

    http://www.museimilitari.it/MuseiItaliani.asp?Arma=Esercito&Museo=01

  • Museo del Risorgimento Milano

    Nato nel 1885, dal 1951 il museo ha sede nel settecentesco palazzo Moriggia, progettato nel 1775 da Giuseppe Piermarini a ridosso del vasto complesso di Brera. Già sede, in epoca napoleonica, del Ministero degli Esteri e, in seguito, del Ministero della Guerra, il palazzo, passato nel 1900 alla famiglia De Marchi, fu donato al Comune di Milano dalla moglie del celebre naturalista Marco De Marchi e in quell'occasione destinato a sede museale.
    Attraverso un articolato insieme di materiali composti da stampe, dipinti, sculture, disegni, armi e cimeli, le collezioni illustrano il periodo della storia italiana compreso tra la prima campagna di Napoleone Bonaparte in Italia (1796) e l'annessione di Roma al Regno d'Italia (1870). Il percorso espositivo è ordinato cronologicamente e si snoda attraverso quindici sale tematiche a cui si aggiungono due sale destinate alle esposizioni temporanee. L'ultimo allestimento risale al 1998 quando, mantenendo intatta la sequenza cronologica, furono ripensate le strutture espositive permanenti, destinate ai nuclei salienti delle collezioni, e in particolare i cimeli dell'incoronazione di Napoleone in Italia (il manto verde e argento e le preziose insegne regali), lo stendardo della Legione Lombarda Cacciatori a cavallo, il primo Tricolore italiano, per fare solo qualche esempio. In questa occasione sono stati riprogettati il sistema di illuminazione e il corredo didascalico, e recuperato il retrostante «Giardinetto romantico».

    http://www.museodelrisorgimento.mi.it/

  • Istituto per la Storia del Risorgimento italiano

    Nel 1878, alla morte di Vittorio Emanuele II, che nel 1861, con la creazione dello stato Italiano aveva assunto il titolo di re d'Italia, il Parlamento decise di edificare a Roma un monumento dedicato al primo sovrano dell'Italia unificata chiamato perciò Vittoriano. Nel monumento - che venne inaugurato nel 1911- avrebbe dovuto collocarsi anche il Museo Centrale del risorgimento, destinato a raccogliere le testimonianze relative alla trasformazione politica, economica e sociale dell'Italia nei secoli XVIII, XIX e XX. Queste testimonianze sono costituite da documenti cartacei (lettere, diari, manoscritti di opere), da quadri, sculture, disegni, incisioni, stampe, armi che, rievocando fatti e protagonisti di questo importante periodo della storia del nostro paese, formano un grande archivio della memoria del Risorgimento.
    Lo spazio architettonico del Museo, all'interno del complesso del Vittoriano, reca lungo le pareti, incisi nel marmo, brani di testi significativi dei maggiori testimoni della storia d'Italia, in modo che lo stesso contenitore diventa parte integrante del museo.
    Il nuovo percorso di visita del Museo si articola secondo una scansione temporale collegata a singoli eventi e a figure che in qualche modo ne sono state protagoniste.
    Queste le sezioni:
    - Il periodo napoleonico
    - Il Congresso di Vienna
    - I moti rivoluzionari del 1820-1821 e del 1830-1831
    - Giuseppe Mazzini e la Giovine Italia
    -Pio IX
    - Il 1848: le Cinque Giornate di Milano; la Repubblica di San Marco; la Prima guerra d'indipendenza
    - Il 1849 e la Repubblica Romana
    - Cavour e la guerra di Crimea
    - Vittorio Emanuele II e la Seconda guerra d'indipendenza
    - Garibaldi e l'impresa dei Mille
    - Dall'Unità all'Aspromonte
    - La Terza guerra d'indipendenza
    - 1870 la presa di Porta Pia
    - La Prima guerra mondiale
    Un percorso di rari filmati d’epoca realizzati in collaborazione con Cinecittà Luce e il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale è integrato al percorso di visita.
    In particolare, nell’area didattica, sarà visibile il film di animazione La Lunga Calza Verde realizzato nel 1962 da Cesare Zavattini e appositamente restaurato da Cinecittà Luce.
    Nelle due grandi Sale è inoltre possibile ascoltare alcuni brani militari originali dell'Ottocento e della Prima guerra mondiale, selezionati dall'Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi
    Il Museo Centrale del Risorgimento di Roma è attento alle problematiche di ecosostenibilità: ove possibile l’impianto di illuminazione è a basso consumo di energia elettrica (tecnologia LED).

    http://www.risorgimento.it/php/page_gen.php?id_sezione=2

  • Museo Nazionale del Risorgimento Italiano

    Il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano si è profondamente rinnovato, e si presenta ai visitatori con allestimenti e servizi all’avanguardia, da Palazzo Carignano che lo ospita agli ambienti che accolgono le collezioni. L’illuminazione, i colori delle sale, la cui scelta è stata effettuata in base a codici cromatici sempre riconducibili ai temi trattati, e l’utilizzo di contributi multimediali assicurano al visitatore un’esperienza unica nel suo genere.
    Il periodo risorgimentale ora è narrato in chiave europea oltre che torinese, piemontese e italiana. Le sale sono arricchite da filmati realizzati con immagini provenienti dalle più importanti collezioni europee e visibili su schermi di grandi dimensioni, così come ampi tavoli interattivi consentono ai visitatori di approfondire ulteriormente i temi sviluppati dai filmati.

    http://www.museorisorgimentotorino.it/index.php

  • Einaudi storia

    Fu fondata a Torino il 15 novembre 1933 da Giulio Einaudi, figlio del futuro presidente della repubblica Luigi Einaudi, all'epoca ventunenne. Sin dall'inizio è possibile intravedere quelli che saranno gli ideali fondanti dell'esperienza editoriale di Giulio Einaudi e dei propri collaboratori, cioè la commistione di impegno civile e politico ma anche intellettuale e formativo. Il clima politico-sociale dell'Italia negli anni trenta influisce sul carattere stesso della casa, che si caratterizza per una chiara impronta antifascista, e per questo numerosi esponenti furono colpiti dal regime. Infatti la casa editrice venne immediatamente presa di mira dal fascismo: nel 1935 il proprietario Giulio Einaudi fu prima arrestato, e poi inviato al confino. Sempre impegnata politicamente, l'editrice si avvalse di collaboratori come Cesare Pavese, Giaime Pintor, Massimo Mila, Elio Vittorini, Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Leone Ginzburg, quest'ultimo assassinato dai nazisti. Pubblicò nel dopoguerra i Quaderni e le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Dopo aver affrontato gli intensi anni della guerra, la casa torinese si prepara al periodo della ricrescita, vivendo gli anni cinquanta come un periodo di pieno fermento ed intensa attività editoriale, in cui l'Einaudi rafforza la propria immagine di casa editrice di cultura a dispetto dell'idea di casa editrice “di partito” che aveva dato all'inizio della propria attività, politicamente schierata a sinistra. Tuttavia i grandi progetti del fondatore devono sottendere al confronto continuo con i dati economici poiché la volontà di imprimere al catalogo una ricchezza intellettuale costringe l'editore ad attingere a fondi monetari privati, delineando un precario equilibrio finanziario. Durante gli anni sessanta il settore editoriale assume sempre più i tratti di un ambito industriale in cui agiscono marcate forze imprenditoriali e si comincia a parlare in senso strettamente commerciale di mercato e pubblico. Le politiche editoriali all'interno dell'Einaudi si pongono obiettivi e priorità differenti rispetto al passato, non si attua più una politica centrata sull'autore bensì si predilige la politica del best seller che permette successi copiosi ed immediati. Ciò ha condotto la casa torinese a una forte crisi identitaria. Infatti ebbe un periodo di forte crisi negli anni settanta e ottanta, che videro la creazione del progetto Einaudi-[Gallimard], una collaborazione con la casa editrice francese Gallimard per proporre sul mercato italiano le celebri edizioni della Bibliothèque de la Pléiade. In particolare il 1983 è stato un anno chiave per la storia della casa editrice torinese in cui coincisero tre eventi che sarebbero già rilevanti se considerati singolarmente: la ricorrenza dei cinquant'anni di vita, la pubblicazione del catalogo storico e la crisi finanziaria. Nel 1994 l'Einaudi fu acquistata dal gruppo Mondadori, al quale appartiene tuttora. Nel 1998 ha rilevato Edizioni di Comunità. Nel 1999 Giulio Einaudi muore a Magliano Sabina. Gli succede alla guida della casa editrice Roberto Cerati. Lo scrittore conduce l'Einaudi anch'egli fino alla morte, avvenuta nel novembre 2013. Dall'aprile 2014 il presidente della casa editrice è lo storico Walter Barberis.

    http://www.einaudi.it/catalogo/%28codMateria%29/F./%28searchSessionKey%29/Storia%20e%20Problemi%20contemporanei/

     

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